Aku no Hana (I fiori del male) è una serie animata di 13 episodi, prodotta da Zexcs, trasmessa in Giappone nella primavera del 2013, sui canali Animax e Tokyo MX in tarda serata. È tratta dall’omonimo manga di Shūzō Oshimi, pubblicato da Kodansha dal 2009, edito in Italia da Planet Manga a partire dal novembre 2013.
Il protagonista, Takao Kasuga, è un giovane studente liceale che vive in una decadente cittadina situata al centro del Giappone, nella prefettura di Gunma. Kasuga soffre per la provincialità dell’ambiente in cui vive ed ha ereditato dal padre una grande passione per i libri. Questa passione gli ha fatto scoprire le poesie di Budelaire: la raccolta “I Fiori del male” è il suo libro preferito e fonte di ispirazione per fuggire dalla squallida realtà che lo circonda. Anche la sua prima cotta adolescenziale viene sublimata attraverso i versi del poeta. Kasuga non è bello e men che meno popolare, tutto l’opposto della ragazza che ama segretamente: la soave Nanako Saeki, sua compagna di classe. Un pomeriggio, proprio a causa del libro di Baudelaire dimenticato sotto il banco, Kasuga ritorna a scuola dopo la fine delle lezioni e, in preda ad un impulso improvviso, ruba la maglietta e i pantaloncini da ginnastica di Saeki. Il ragazzo si pente presto del suo gesto, così in contrasto con l’idealizzazione platonica dei suoi sentimenti, ma il caso vuole che un’altra sua compagna, Sawa Nakamura, sia stata testimone del furto.
Nakamura, che siede al banco proprio dietro Kasuga, è la vera outsider della scuola. Completamente fuori dagli schemi, risponde male ai professori ed è evitata dai compagni di classe. Ricatta il ragazzo proponendogli una sorta di contratto in cambio del silenzio. Benché le azioni messe in atto dalla ragazza sembrino entrare nel classico schema del bullismo scolastico, fatto di umiliazioni psicologiche e crudeltà gratuite, in realtà la ragazza sta portando avanti uno specifico progetto: le cose sono molto diverse e molto più complesse di quanto si possa pensare inizialmente.
Quello che colpisce da subito è lo stile del disegno, completamente diverso dal manga e, a dire il vero, da qualunque altro anime sia stato fatto finora. Il regista Hiroshi Nagahama, cercando uno stile per raccontare in modo più realistico la vicenda, ha deciso di utilizzare una vecchia tecnica di animazione: il Rotoscope. Questo metodo, inventato dal leggendario animatore statunitense Max Fleischer nel 1918, consiste nel filmare delle persone e ridisegnarle fotogramma per fotogramma. I giapponesi, maestri indiscussi dell’animazione 2D, hanno dovuto imparare una tecnica completamente inusuale, non senza qualche difficoltà iniziale ravvisabile soprattutto nelle prime puntate. L’uso del Rotoscope ha inoltre raddoppiato i tempi di realizzazione dell’anime. Lo stile può infastidire parecchio chi è abituato alla perfezione formale del “passo misto” giapponese (i fotogrammi per secondo aumentano o diminuiscono a seconda della velocità dell’azione) e alle caratterizzazioni tipiche degli anime. Infatti ha ricevuto da una parte del pubblico molte critiche proprio per questo motivo.
Come se non bastasse, i personaggi sono molto lontani dagli eroi ideali in cui può far piacere immedesimarsi o di cui ci si potrebbe innamorare. Kasuga può stracciare qualunque concorrente in un ipotetico sondaggio “personaggio degli anime con meno spina dorsale”: l’Hikari Shinji più passivo (quello di The End of Evangelion) a suo confronto sembra deciso e virile quanto Gatsu mentre affronta i Cinque della Mano di Dio; Nakamura è talmente disadattata da far sembrare Rei Ayanami l’anima della festa. Pefino Saeki, al di là della bella apparenza, ha i suoi grossi problemi… Per tacere del devastante pecorume dei compagni di classe. Liceo Tomobiki… dove sei? Però sono tutti personaggi incredibilmente reali, come reale appare la vita nell’immaginaria cittadina, recintata da una barriera di colline che la separano idealmente da un mondo più aperto, libero da pregiudizi e stereotipi sociali in cui essere incasellati. Quasi un altro personaggio, la cittadina viene descritta con splendidi fondali, che non stonerebbero nei più blasonati cartoni dello Studio Ghibli.
Tutta la vicenda viene accompagnata da una colonna sonora perfetta e inquietante, composta da Hideyuki Fukasawa, e raccontata da una regia superba. Nagahama riesce perfino a usare in modo non banale il rallenty, rendendo la scena di vandalismo nella scuola come un momento di assoluta poesia. I colpi di scena non mancano, ma sono tutti estremamente plausibili: merito della solida sceneggiatura. Purtroppo il cartone termina a metà della parte principale del manga; oggettivamente in 13 puntate era possibile occuparsi giusto di questo, per cui mi auguro si concluda il nucleo narrativo con una successiva serie. L’ultima puntata mostra dei flash forward di quello che accadrà, poco comprensibili per chi non abbia già letto il manga. Aku no Hana ci racconta, con profondità e un realismo inedito per un anime, i tormenti e le pulsioni irrazionali dell’adolescenza in Giappone.
Non è un cartone per tutti: al di là di chi può odiare lo stile, il senso di angoscia che riesce a trasmettere potrebbe turbare gli animi più sensibili. I personaggi sono così differenti, ben definiti e strutturati da riuscire ad entrare nella loro testa, per quanto malata, e vedere la storia da differenti angolazioni. Inoltre gli autori, proprio perché non sono (più) adolescenti, riescono a puntare gradualmente l’obiettivo oltre la visione egocentrica tipica di quell’età di passaggio e a trasmettere, per chi riesce a coglierlo in quel mare di devastazione umana, un invito alla maturazione.
Luciano Costarelli