Hawthorne Island, l’isola sulla costa nord-ovest degli Stati Uniti che ospita una fattoria di cinquanta chilometri quadrati, sostenibile e autosufficiente. Agricoltura e allevamento non intensivo permettono materie prime di altissima qualità. I pescatori con reti, nasse e strumenti non invasivi, procurano prodotti altrettanto pregiati per il comparto ittico. Fulcro del complesso: l’omonimo ristorante Hawthorne, il tempio della cucina molecolare dai toni moderni e raffinati.
The Menu
Disney+ propone sulla sua piattaforma streaming questo film thriller, ai limiti dell’horror, dai toni culinari e sociali. E tutto sommato lo fa in maniera apprezzabile per gli amanti della cucina di alto livello, abbracciando anche i cultori di lungometraggi controversi ed anomali. Non è un semplice film lineare, è quasi una denuncia tra lo stress che si vive attualmente nell’alta gastronomia, alla ricerca smodata della stessa, fino al rovescio della medaglia di clienti snob e dall’etica discutibile che afferiscono a quella tavola per eletti senza neanche capirne la profondità.
Con questi presupposti, tutto si apre con gli ospiti di questa serata (da 1250 dollari a testa) pronti a salpare. La cena è riservata pochi intimi, questa sera saranno undici. E saranno proprio i loro cinque tavoli il nodo gordiano da sciogliere per arrivare ad un finale che si delinea, man mano, sempre più certo.
I Clienti
Come nei migliori film, tutto parte in sordina, con persone normali, più o meno allegre ed estroverse, delineando man mano i loro scheletri nell’armadio. E l’uso dei tavoli come spartiacque è un mezzo perfetto per separarli, mantenere la logica e poi mischiare tutte le carte nei momenti clou.
Abbiamo il tavolo della grande critica gastronomica che si vanta di poter far chiudere con una recensione molti ristoranti. Non è mai riuscita a recensire quel ristorante, ma questa volta ha ricevuto l’invito dello chef. Al tavolo con lei un tirapiedi lecchino che non osa contraddirla, neanche durante l’assaggio dei piatti in cui lei trova sempre qualcosa che non va, seppure lui li divori di gusto.
Quello di tre esperti informatici che fanno i bulletti, arrivati molto alticci, dovranno presto fare i conti con verità scomode stampate a laser sulle masa di mais.
Ad un tavolo un attore con la sua manager stanno trovando scuse per lasciarsi, usando menzogne per giustificarsi ed apparire persone rispettabili e rispettate.
C’è poi la coppia di ricchi che è l’undicesima volta che partecipa alla cena ma, oltre ad un segreto scottante del marito, dovranno fare i conti con la vergogna di non ricordare neanche un piatto delle dieci cene precedenti.
Infine il tavolo clou è riservato ad un blogger invasato che non riesce a gestire l’emozione di essere davanti allo chef che idolatra, con l’aggravante di aver portato con se una accompagnatrice che non apprezza tale cucina raffinata e poco comfort food.
Lo Chef
Lo chef Slowik è l’anima pulsante del Hawthorne. I piatti proposti sono un capolavoro visivo e di gusto. Gli amanti della cucina molecolare adoreranno queste parti dedicate ad ingredienti ed attrezzature sofisticate, così come l’intermezzo in cui viene presentato il piatto dallo chef, e poi scorre la visualizzazione e descrizione a video in stile Mastechef.
Slowik ha perso la voglia di cucinare per qualcuno che apprezzi, e viene sottolineato in maniera evidente dal suo comportamento freddo e calcolatore. L’esperienza che vuole trasmettere non è del ricordo felice, ma delle angosce sue e della sua brigata: dal sous-chef incapace di eccellere, all’altra sous-chef molestata sessualmente.
Tra sfere con alginato, neve con Pacojet e schiume di lecitina, il menu semplice che parte con una deliziosa amuse bouche, via via si complica tra portate anomale e grandi composizioni. Lo chef che cucinava semplici hamburger agli inizi, ora è alla ricerca smodata della novità e dell’eccellenza per stupire un pubblico che non degusta, non assapora, semplicemente mangia. Mangia e non ricorda cosa ha mangiato.
Come se non bastasse, un dettaglio lo manda ancor di più in crisi. Quella sera una commensale non assaggia neanche, non vuole dare spiegazioni del perchè, anzi si comporta in maniera ostile. Fattori che lo costringono a cambiare i piani ed anche il menu in corsa.
Il Dolce è servito
Come il titolo promette, il menu viene servito per intero. In un finale che strizza l’occhio a Ratatouille, al Hawthorne è di scena il capolavoro massimo dello chef: il dessert. Servito come fosse un fastoso “quadro d’autore”, chiude il pasto sotto gli occhi trascendenti ed in trance onirica degli avventori alla tavola. Un finale drammatico, cruento ma con una sua magnificenza.
Un buon film, sicuramente da vedere consci che non è ne per tutti, ne uno spensierato sulla cucina. Un piccolo segnale di quanto la ristorazione vera è molto diversa da quella che si vede nei programmi TV. La brigata che dorme praticamente di fianco alla cucina per alzarsi alle 5.00 e non arrivare in ritardo alle preparazioni serali è un’esagerazione, ma non troppo. I blogger della domenica, i critici culinari, le persone benestanti che hanno perso di visto il cibo come piacere e ma come modo per farsi conoscere o sembrare più importanti. Chef alla ricerca di fama e approvazione in un mondo che va veloce e non ha tempo di fermarsi per le 4 ore e mezza in cui verrà servito il menù per assaporarlo fino in fondo.