“Kokeshi. Il Tōhoku fra tradizione e design” è il primo libro in Italia che si occupa approfonditamente dei kokeshi, bambole di legno caratteristiche del Tōhoku, regione che occupa la parte nord-orientale dell’isola di Honshu. Questo volume, edito da Scalpendi e curato da noti esperti quali V.Sica, R. Menegazzo e C Covito, permette al lettore di affrontare un viaggio non solo nel mondo dell’artigianato, ma anche nella cultura, nelle tradizioni rurali e folcloristiche di un popolo sempre in bilico tra conservatorismo e modernità , il tutto è arricchito dalle foto scattate al MUDEC – Museo delle Culture – di Milano dove, nel 2019, è stata allestita la mostra “Kokeshi” .
Nella regione del Tōhoku ci sono molte botteghe artigianali specializzate nella produzione di svariati oggetti, gestite da artisti specializzati e i segreti per la produzione dei manufatti vengono tramandati di padre in figlio. Ad esempio nelle botteghe di Morioka , nella prefettura di Iwate, vengono realizzati i Nanbu tekki (immagine 1), ossia teiere, campane, armi e pentole di ferro, in quelle della prefettura di Fukushima si possono trovare i simpatici Akabeko (immagine 2) , buoi di cartapesta portafortuna e nella prefettura di Akita gli artigiani realizzano i Megawappa (immagine 3), meravigliosi contenitori per il cibo realizzati in legno di cedro. Le bambole Kokeshi si possono trovare nelle botteghe di tutta la regione , anche se la prima produzione avvenne nella prefettura di Miyagi, verso la fine del periodo Edo (1600-1868) come souvenir per i clienti delle terme.
La produzione tradizionale dei Kokeshi prevede l’uso di legna particolare ricavata dall’acero, dalla magnolia ma anche dal ciliegio; gli alberi devono essere tagliati durante l’inverno e, dopo aver tolto la corteccia, devono asciugare anche per più di un anno, per evitare che l’oggetto si deformi durante la lavorazione.
Al primo sguardo le bambole possono sembrare tutte uguali, con un’espressione enigmatica, senza arti, con il corpo cilindrico e con la testa rotonda sulla quale vengono dipinti i lineamenti del volto e i capelli, ma se vengono osservate con attenzione si possono cogliere le differenze tra una bambola e l’altra: ci sono i “modelli tradizionali” (dentō kokeshi, 伝統こけし)prodotti esclusivamente nella regione del Tōhoku , lavorati al tornio (rokuro), dipinti a mano secondo una tradizione tramandata da generazioni; i “nuovi kokeshi” o “kokeshi di nuova forma” (shingata kokeshi, 新型こけし) apparsi dal secondo dopoguerra, sono i modelli più prodotti e la loro struttura, i colori e le decorazioni vengono decisi senza considerare la tradizione; i “kokeshi creativi” (sōsaku kokeshi, 創作こけし), spesso opere prodotte in numero limitatissimo da artisti che usano liberamente materiali e colori abbandonando i canoni che l’usanza prevede.
Il loro aspetto trae ispirazione dagli stenti e dalle ristrettezze economiche che hanno caratterizzato la vita degli abitanti del nord-est del Giappone nei tempi passati, l’espressione del viso spesso ambigua, esprime l’innata riservatezza delle donne del Tōhoku e la forma compatta rivela la robustezza e la buona salute di chi è cresciuto nella natura e in un ambiente con temperature piuttosto rigide.
Nello sceneggiato “Oshin” la protagonista (la Oshin del titolo), proviene da una famiglia molto povera di coltivatori di riso, e all’età di sette anni deve lasciare la sua casa per andare a servire una famiglia ricca. Prima di partire la mamma le dona un Kokeshi, simbolo dell’amore materno e della protezione della famiglia, che la aiuterà a sopportare tutte le umiliazioni e le ingiustizie che dovrà subire.
In questa serie viene messo in risalto un importante significato del Kokeshi, quello che i Giapponesi chiamano furusato (villaggio antico), ossia un luogo ideale dove le persone possono rifugiarsi per ritrovare un po’ di serenità , quella serenità interiore che si trova con nostalgia nella famiglia , lasciata per trasferirsi nelle città che offrono lavoro, o nei ritmi lenti di vita nei villaggi nel tempo passato, come quelli del Tōhoku, in contrasto con la frenesia delle grandi città.
By Valeria Turino