La popolazione della stella Uru decide di invadere la terra. Seguendo le loro stravaganti usanze, viene selezionato da un computer un terrestre che dovrà sfidare Lamù, la figlia del loro monarca, dotata di poteri elettrici e in grado di volare. Se riuscirà a portare a termine la sfida (toccarle le corna), la terra sarà salva, altrimenti i terrestri saranno assoggettati al dominio alieno. Il prescelto dal destino è lo studente liceale Ataru Moroboshi che, riuscendo a vincere la sfida con un trucco, per un fraintendimento si ritrova fidanzato con la bellissima aliena dai capelli verdi.
Lamù nasce dal pennello della quasi debuttante Rumiko Takahashi, che nel 1978, a soli 21 anni, riesce a pubblicare la sua prima serie: Urusei Yatsura. Il personaggio è ispirato dalla modella di costumi da bagno Agnes Lum, costante presenza delle pubblicità televisive giapponesi a metà degli anni ’70. Nelle intenzioni dell’autrice, Lamù doveva avere un ruolo secondario, lasciando alla coppia Ataru-Shinobu la parte dei protagonisti. Ma, dopo aver rubato la scena alla fanciulla terrestre, l’aliena dal bikini tigrato, si stabilisce nella casa dei Moroboshi a Tomobiki, immaginario distretto di Tokyo che ricalca quello reale di Nerima. Il mix di commedia e umorismo demenziale conquista presto i favori dei ragazzi giapponesi, alla ricerca di qualcosa di nuovo rispetto agli Shoonen. Ma non viene certo disdegnato dalle ragazze, che lo trovano più divertente degli Shojo.
Il manga di Rumiko Takahashi utilizza la parodia e la contaminazione dei generi per crearne uno differente, più adatto alle nuove generazioni. Questo concetto viene ripreso con ancora maggiore efficacia nel 1982, quando Urusei Yatsura diventa un anime. Il chardes è opera della giovane Akemi Takada, il cui tratto mostra una grazia e una morbidezza piuttosto inedita. La regia viene affidata al trentenne Mamoru Oshii, proveniente, come la Takada dalla Tatsunoko Pro. Lo stile dei personaggi di Akemi, riconoscibile già da subito, col tempo si distacca maggiormente da quello di Rumiko, senza però stravolgerlo. Mamoru Oshii comincia invece eseguendo il suo lavoro in modo piuttosto neutro. Dopo un po’ di puntate, forse più sicuro di sé, ad Oshii viene voglia di andare oltre il consueto. Grazie ad una generazione di animatori appassionati, arrivano le famose corse, con soggettive a supervelocità, le prospettive esasperate e gli ambienti folli animati in 3D manualmente. Migliorano in modo impressionante gli sfondi, mentre i mecha raggiungono presto il livello delle migliori serie robotiche. Progressivamente Oshii, con la scusa del citazionismo e della parodia, porta nella regia del cartone una vera e propria antologia del Cinema. Le storie vengono, per esempio, narrate da dettagli, voci narranti su ambienti privi di persone, scene specchio, ombre, immagini metaforiche. Cita con disinvoltura lo stile di Ozu come quello di Buñuel, per prendere in giro Lucas nella puntata successiva. Se la regia del cartone televisivo seriale occidentale dello stesso periodo si concentra su inquadrature semplificate e stacchi personaggio-sfondo fisso, con Lamù sembra invece non esistano più limiti, e anche le sceneggiature prendono la stessa piega. A volte non esiste un episodio del manga da trasporre in animazione, e proprio in questi casi Oshii comincia a riversare nella serie una vena onirica che raggiungerà la vetta più alta nel film “Urusei Yatsura 2 – Beautiful Dreamer”, vero spartiacque tra il periodo formativo del regista e la piena affermazione della propria personalità.
Al di là di questi aspetti artistici, Urusei Yatsura fa ridere come nessun cartone aveva mai fatto prima, riuscendo ad essere una serie demenziale, piccante, ma anche romantica. L’anime mette alla berlina le piccole meschinità e le abitudini di un popolo che, in Italia, i figli di Goldrake cominciano per la prima volta a conoscere e a sentire più vicino. Questa serie ha anche il merito di regalarci un eroe degli anime come non si era mai visto prima: Ataru Moroboshi. Costui è il contrario di quello che ci si aspetta da un giapponese: Imprevedibile, inaffidabile, egoista, individualista, libertino. Praticamente un italiano. Storia e personaggi si completano alla perfezione: Rumiko Takahashi riesce infatti a creare storie estremamente divertenti giocando su paradossi e contrapposizioni, portando all’estremo i difetti dei tantissimi personaggi che riesce a inventare. Da parte terrestre, passiamo dai disperati genitori di Ataru, ritratto della famiglia piccolo borghese, a Mendo Shootaro, rampollo di una dinastia di super-ricconi, donnaiolo esattamente quanto Ataru, ma bello, ricco e fondamentalmente ipocrita. Senza dimenticare Sakurambo, inquietante bonzo menagramo, che riesce a scroccare cibo in ogni situazione o Ryunosuke, ragazza allevata come un maschio da un padre psicopatico: parodia al tempo stesso di Lady Oscar e dei manga sportivi. Dal lato alieno, troviamo la schizofrenica Ran, forse il primo personaggio Yandere, perdutamente innamorata di Rei, ex fidanzato di Lamù, affascinante alieno che si trasforma in un gigantesco e famelico bovino tigrato, mentre Ten, il cuginetto sputafuoco di lamù, riesce ad essere a volte ingenuo, a volte lcarogna, come solo un bambino può esserlo. I personaggi sono decine, centinaia i secondari che includono parodie più o meno palesi di moltissimi anime: dall’Uomo tigre a Rocky Joe, da Devil man a Mazinger Z, da Jenny la tennista a Tommy la stella dei Giant, includendo perfino Hokuto no Ken e Ami, la prima protagonista dei Cream Lemon. La serie viene prodotta per 5 anni consecutivi, descrivendo, pur in modo surreale, la società giapponese nel boom economico degli anni ‘80. Il meritato successo, un numero così elevato di personaggi e uno scenario così ben strutturato, hanno permesso di produrre ben 195 episodi, oltre a 12 OAV e 6 film.
Non tutte le puntate sono allo stesso livello, il doppiaggio e l’adattamento italiano, a seconda dei periodi e delle stagioni, passa dal brillante all’inascoltabile, ma in mezzo alla serie si trovano spesso delle perle che brillano di una intensità accecante.
Luciano Costarelli