La letteratura fantasy è ricca di opere ma la trilogia creata da Luca Tarenzi, miscela al fantastico anche un importante fetta della cultura letteraria nostrana: la “Divina Commedia” il poema di Dante Alighieri, dando così vita a qualcosa di unico che riesce a catalizzare il lettore in un viaggio molto particolare, in un’ impresa che non ha riscontri nella storia del fantasy, l’evasione dagli inferi di alcuni dannati…
Andiamo a conoscere Luca e la sua creazione che vi affascinerà, vi emozionerà ma soprattutto vi farà vivere in prima persona in versione 3D la Divina Commedia.
Parlare di me… una delle cose che in assoluto mi vengono peggio! Proviamo così: mi chiamo Luca. All’anagrafe ho quarantasei anni ma mentalmente me ne sento sedici se va bene. Sono lombardo ma vivo in Piemonte, sulle sponde del Lago Maggiore. Ho una laurea in Storia delle Religioni e per sbarcare il lunario oltre a scrivere roba mia traduco in italiano roba di altri. Se posso dire di essere una di quelle persone definite dalle loro passioni, allora a definirmi per davvero sono lo studio dell’occultismo, la scherma storica e i giochi di ruolo. Ah, dimenticavo: sono basso. Dev’essere un dato importante perché, quando incontro di persona qualcuno per la rima volta, la sua prima frase è quasi sempre “Ti immaginavo più alto!”
Che rapporto hai avuto con l’opera la “Divina Commedia” di Dante Alighieri.
Il rapporto con l’opera di Dante è un po’ come quello con i nostri genitori: in Italia lo dobbiamo affrontare tutti, non c’è scampo! E, se vogliamo, è proprio questa una delle ragioni che mi hanno spinto a scrivere questa storia: la consapevolezza che gli ambienti, i temi, i personaggi di Dante sarebbero stati immediatamente riconoscibili per qualunque lettore del mio paese. Che lo si ami o lo si detesti, Dante fa parte del nostro retaggio a livello personale, ce lo portiamo dietro ai tempi delle superiori come il ricordo di un compagno di banco. In questo – ossia nel fatto anche possa essere un bel ricordo o un ricordo detestabile – la nostra scuola ha ovviamente una responsabilità fondamentale, e io qui sono stato fortunato: al liceo ho avuto un professore di Italiano che amava Dante e sapeva come trasmettere la sua passione, una dote tristemente rara. L’amore per la Divina Commedia e il gusto di rileggerla ogni qualche anno (anche ad alta voce, scandalizzando i miei amici toscani con il mio accento lombardo…) me li sono portati dietro per tutta la vita, anche molto prima che mi attraversasse l’idea di scriverci sopra qualcosa.
Come nasce l’idea di realizzare una trilogia che parte dalla base della Divina Commedia.
Una delle ragioni è quella che ho detto qui sopra: per anni ho rimuginato sull’idea di scrivere un fantasy non italiano ma “italianissimo”, non semplicemente ambientato nel nostro paese e/o ispirato a storie che fanno parte della nostra tradizione (cose che avevo già fatto in altri miei romanzi, e che altri scrittori hanno fatto molto meglio di me), ma che andasse proprio ad “aggredire” qualcosa di fondamentale della nostra cultura. Volevo che i mie lettori si trovassero in mano un libro da guardare alla maniera in cui i lettori di lingua inglese guardano i fantasy ispirati a Shakespeare, per intenderci. Accanto a questo c’era il ricordo di un romanzo (inedito in Italia) di Hal Duncan intitolato Escape from Hell!, i cui protagonisti erano un gruppo di anime dannate che decideva di evadere da un Inferno che aveva l’aspetto di una prigione del giorno d’oggi. Ho letto questo libro parecchi anni fa e in sé non mi era piaciuto particolarmente, ma avevo sempre pensato che l’idea di base fosse fighissima. Ma a far scoccare la scintilla che mi ha fatto concepire L’ora dei dannati è stata l’uscita nel 2014 della canzone Argenti Vive di Caparezza: dal momento in cui l’ho ascoltata per la prima volta ho capito che avrei scritto questa storia. Non sapevo ancora come (ad esempio nella mia prima versione mentale si trattava di un libro unico, non di una trilogia), non sapevo quando (e infatti sarebbero passati anni prima che mi sedessi a scrivere la prima parola) ma ho avuto la certezza immediata che lo avrei fatto.
“Lora dei Dannati” non è una semplice fuga di alcuni condannati agli Inferi ma è anche una rivalsa di chi vorrebbe dare un nuovo senso alla propria vita?
La riflessione sulla natura dell’Inferno era il punto di partenza obbligato per una storia come questa. Leggendo la Divina Commedia alle superiori tutti ci siamo chiesti, in un punto o in un altro, se fosse giusto o no che i personaggi che ci trovavamo davanti meritassero davvero una punizione inimmaginabile come la tortura eterna per quel che avevano fatto in vita (la storia di Paolo e Francesca, ad esempio, è una di quelle che fanno sorgere più spesso questa domanda). L’Inferno di Dante come concetto è un prodotto della religiosità e della mentalità del medioevo, un’epoca che su questioni come il bene e il male, il perdono, la punizione, la salvezza aveva idee a volte molto diverse da quelle che abbiamo oggi, e lo stridore tra quelle concezioni e le nostre a volte è assordante. Eppure i personaggi che Dante mette in scena erano esseri umani proprio come noi, che senza alcun dubbio si facevano le stesse domande che ci faremmo noi nella loro situazione: “Mi sono meritato le cose orribili che mi stanno facendo quaggiù? Dove ho sbagliato? E perché quel che ho fatto era un errore? Avrei potuto fare diversamente? Siamo sicuri che questo sistema di premi e punizioni sia giusto, equo, sensato?” Io ho cercato di rendere il più umani possibile i miei personaggi proprio facendoli ragionare ancora e ancora su questi punti, perché mi sono sembrati, ancora più della storia della loro fuga, il vero cuore dell’intera questione.
Su quali basi hai scelto i protagonisti per la “Grande Fuga”?
Be’, dunque… Virgilio era il punto di partenza naturale di tutta la vicenda, che in un certo senso è la sua storia più che quella di chiunque altro. Filippo Argenti mi viene dall’omonima canzone di Caparezza ed è una delle ragioni fondamentali che mi hanno spinto a scrivere questa storia. Poi avevo bisogno di qualcuno che avesse una mente poderosa ma dipendesse al 100% dagli altri per fare qualunque cosa, e fosse quindi costretto a manipolare costantemente chi aveva intorno con la sola arma della parola: da qui Pier delle Vigne. Di Bertran de Born mi ha sempre affascinato l’illustrazione di Gustave Doré in cui tiene in mano la propria testa: volevo vedere come si poteva gestire nelle scene d’azione un guerriero che letteralmente non ha la testa sulle spalle (e, a parte questo, mi piaceva l’idea di ricreare il carattere di un poeta guerriero, al punto che di fatto la sua voce è la mia nella storia, sono spesso io che parlo attraverso di lui). E infine il conte Ugolino… che è il mio Hannibal Lecter
E’ un fantasy un pò particolare, in cui misceli letteratura, cultura e tua immaginazione. Sei soddisfatto o c’è qualcosa che avresti voluto fare di più?
Presentatemi uno scrittore che non vorrebbe cambiare mille cose in quel che ha scritto e gli offrirò da bere nel posto più costoso che conosce! Battute a parte, io sono ipercritico sul mio lavoro, sempre e comunque, al punto che evito come la peste di rileggermi quando ho veramente finito di scrivere un libro: una volta che è diventato di carta, io non lo riapro più. Mi verrebbe l’ulcera. Detto questo, la cosa di cui sono più felice in questa storia è, banalmente, quella che ogni scrittore ama di più: il fatto che nel corso delle pagine i personaggi abbiano “preso vita” al di là dei miei piani e abbiano fatto scelte, espresso sentimenti, intrecciato rapporti che io stesso non avrei saputo (e probabilmente nemmeno dovuto) prevedere prima di trovarmeli davanti. Questo io lo considero sul serio un regalo, forse il più prezioso che il mestiere dello scrivere possa lasciarci.
Per uno scrittore, arrivare all’ultima pagina della propria opera è un pò come lasciare degli amici di viaggio. Ti eri affezionato a questi anti-eroi in fuga?
Al punto che quando ho chiuso il file per l’ultima volta non riuscivo a smettere di fissare lo schermo vuoto. E per carattere non sono una persona abituata ad avere reazioni del genere. Questa trilogia è il progetto più lungo e più difficile che io abbia concluso finora: mi ha accompagnato per cinque anni e mi ha fatto versare più sudore e sputare più sangue di qualunque altro… Ma a darmi la vera dimensione del rapporto che avevo sviluppato con i miei personaggi è stato un episodio specifico: quando sono riuscito ad alzarmi dal pc, ho chiesto ad Aislinn (la mia ragazza, scrittrice anche lei e molto più brava di me) se le andava di uscire a fare una passeggiata. Quando siamo rientrati ho trovato accanto alla tastiera un regalo (una tazza) e un biglietto con scritto: “Grazie per aver scritto la nostra storia” e sotto le firme dei miei personaggi. Sono scoppiato a piangere. E non ho smesso per cinque minuti.
Senza accennarci niente dell’ultimo capitolo”L’ora dei Dannati – La Guerra” che uscirà il 18 Ottobre. La saga è proprio conclusa?
Sì: la parabola narrativa dei personaggi giunge al suo definitivo compimento. In effetti mi è stato chiesto – anche “in alto loco”, per usare proprio le parole di Dante – se c’era la possibilità di continuare ulteriormente la storia. Confesso che la cosa mi ha lusingato moltissimo, ma la risposta è no: la saga dei miei dannati finisce davvero qui, ed è giusto così.
Progetti per il futuro?
La mia agente è molto vicina alla chiusura del contratto per una nuova trilogia, il cui primo volume – se tutto va bene – sarà in libreria verso la fine del 2023. Non ne posso ancora parlare, ma si tratta di una storia che ho nel cuore da ancora più tempo di quella dei dannati, anzi è probabilmente il più vecchio tra miei progetti non realizzati. E, a essere sincero, il pensiero che alla fine è venuto anche il suo momento mi dà un po’ le vertigini…
E’ il tuo momento… cosa ti senti di dire ai lettori ci Mondo Japan.
Io non so se il mio lavoro possa essere di qualche interesse per voi, ma se deciderete di leggere le mie storie la mia preghiera agli Dèi è una soltanto: che quando avrete voltato l’ultima pagina il vostro pensiero sia “Ok, almeno questo era un libro divertente!”