Arrivo per le dieci di mattina a Malpensa fiere: trovo subito parcheggio.
Impossibile sia successo a me, ma già questo non è un bel segnale… vado a pagare l’ingresso: niente coda. Mi voglio male e pago il prezzo pieno (nove euro) entro bello carico, decido di fare subito una perlustrazione veloce della fiera; in dieci minuti avevo già visto tutto… non va bene, non va affatto bene, ma continuo il giro.
Ci sono ancora i padiglioni, belli grossi, spaziosi… e dedicati all’elettronica! Ma che!?
Va bene, ho pagato nove euro, giriamoci pure questa parte, wooow lampadineee! Led! Caricabatterie! cavi cavetti ed adattatori! beh chiamarla “Milano Comics & games e mercatino delle pulci con cinesate, ma più belle” pareva brutto?
Continuo a camminare, incredulo trovo anche una bancarella di militaria che neanche alla sagra del radicchio!
Proseguo con la speranza nel cuore, e la vedo! La luce! una scritta: FREE GAMES! Vedo un padiglione: PC! PC ovunque con giocatori! Mi lancio come un assetato verso un’oasi, ma un tizio mi ferma all’ingresso; mi comunica che devo pagare cinque euro per entrare in quel padiglione. Ho sentito una fitta al cuore, il mio cervello non elaborava, troppi dati tutti insieme.
Free cinque euro
free cinque euro
come un mantra il mio cervello ripete queste parole, un corto circuito per le mie sinapsi. Le mie labbra si muovono da sole ed esce la parola: perché?
Lo sguardo del mio interlocutore cambia: sembra Clint Eastwood prima di un duello in uno spaghetti western… sento una vampata di adrenalina. Mi chiedo se per caso stia per annunciarmi la seconda venuta di Cristo, invece no: mi dice che se voglio vedere gli Youtubers devo sborsare altri cinque euro…
Ho un mancamento. Quattordici euro per avere accesso a tutta la fiera?? Rigiro la fiera, al contrario, magari da un’altra angolazione vedo qualcos… e niente… penso ancora ai cinque euro.
Poi mi ricordo della gara Cosplay, mi presento un’ora prima per prendere i posti migliori, mi son seduto in prima fila con il mio compagno di sventure, credo sia una sala conferenze convertita per l’occasione. Partiamo bene: cinquanta iscritti alla gara.
Prima del contest ci intrattengono le Cosplay Singers, cantanti ufficiali delle Mermaid Melody, rimango piacevolmente colpito.
Entrano in scena i presentatori, uno si avvicina alla prima fila, ci informa che i primi cinque posti sono riservati ai giudici, io ovviamente ero tra quei cinque (cinque, ancora?), non c’era nessun biglietto sulle sedie! Ero lì quando era ancora vuoto, avevo scelto quel posto per fare delle belle foto, entro in panico. Cerco opzioni, chiedo al mio cervello di mettersi in modalità homo sapiens, qualcosa che vada oltre il magiare, il dormire e il riprodursi, prendo tempo e chiedo: ma proprio questi cinque?
Mi risponde comunque dispiaciuto: si ragazzi dovete andare dietro. Fatto! Ho elaborato due opzioni, la prima: bere una coca e mangiare una mentos, fingere convulsioni con tanto di bava alla bocca. Seconda: cominciare a parlare con l’accento di un contrabbandiere Macedone e fare il peggio cafone.
Mentre decido cosa fare sento rumoreggiare alle mie spalle, tutti i ragazzi alle mie spalle hanno scalato e si sono incastrati come in tetris, gesto di nipponica cultura, scalo anche io in seconda fila, ma il pensiero che il giudice si sieda sulla poltroncina dove ci ho fatto le puzzette (puzzette? Credo ci sia una risoluzione ONU contro il mio sedere) mi rallegra, magra consolazione; Entra la giuria, conosco la persona che ha preso il mio posto, non so se ridere o dispiacermi. Via alla gara! Bei costumi, livello altro, quasi tutti godibili. Un’ora e mezza vola via, ci allontaniamo giusto il tempo per fare quattro passi e lasciar decidere alla giuria i vincitori.
Le premiazioni: solo una targhetta di plastica con scritto : Miglior XXXXXX Ma i cosplayer vincitori esultano e sì, sono contenti, perché per molti cosplayer è già sufficiente l’apprezzamento del proprio lavoro sul costume, sul trucco, sulla recitazione; ci si lamenta spesso del mondo cosplay, ma fino a quando vedrò persone festeggiare per un pezzo di plastica come fosse l’oro alle olimpiadi, continuerò a farlo e seguirlo.
Alessandro Uccheddu