In Giappone esistono le sirene, non proprio come rappresentate nella mitologia classica ma con capacità di immersione quasi pari a queste leggendarie figure femminili: sono le “Ama”, il cui significato è “donne del mare”, note anche come Uminchu nella lingua di Okinawa e Kaito sulla penisola di Izu che da più di 2000 anni si immergono in apnea, quindi sprovviste di attrezzature subacquee (oggi utilizzano pinne, maschere e tute termiche), raggiungendo profondità di circa 30 metri, dedicandosi alla pesca di polpi, ricci, aragoste, ostriche ma soprattutto del mollusco abalone di grosse dimensioni, molto richiesto nei ristoranti. In tempi passati, queste abili nuotatrici, si immergevano seminude coperte da un perizoma: Fundoshi, una foular attorno alla testa: tenugui e di una sorta di coltello ricurvo utilizzato per rimuovere le conchiglie.
Un’attività che sta scomparendo, negli Anni 50 erano circa 70.000 oggi sono veramente pochissime ma mantengono un fascino che si è tramandato nella storia. La tradizione vuole che questo sia un lavoro adatto solo alle donne, istruite già da giovanissime, in quanto in possesso di caratteristiche fisiche quali uno stato adiposo che le protegge dall’acqua fredda, tanto che si immergono fino a tarda età, l’età media è di circa sessant’anni. Le tecniche di immersione sono frutto di lunghe esperienze, sviluppando rituali che si sono tramandati, quale ossigenare i polmoni con ispirazioni profonde e veloci per cinque o dieci secondi ed infine fanno un’ultima ispirazione senza riempire completamente i polmoni per poi tuffarsi in acqua.
La caratteristica che le contraddistingue è il suono che emettono quando risalgono in superficie che prende il nome di Amaisobue, dovuta all’iperventilazione di emersione che consiste in una serie di fischi che venivano scambiati dai marinai in mare come il canto delle sirene ma che per i giapponesi simboleggia il duro lavoro delle Ama.
Lavoro stagionale che è diventato un’attrazione turistica,in quanto è una professione che sta sparendo, le ragazze di oggi preferiscono rivolgersi verso altre attività. Una tradizione che comunque attrae molti turisti che si recano sull’isola di Honshu nella prefettura di Mie a vederle all’opera e rimanere incantati dalla cultura delle pescatrici di perle, zona che custodisce ancora questa tradizione millenaria, tanto che le donne Ama e le loro usanze sono state candidate all’Unesco come patrimonio dell’Umanità. Esistono due tipologie le Oyogido o Kachido che si immergono vicino alla costa e non scendono oltre i 4 metri di profondità e le Funado che si immergono al largo con le loro piccole imbarcazioni, a più grandi profondità.
La figura delle Ama è stato oggetto di stampe, come quelle d’Utamaro e di Hokusai ma anche di poemi quali la raccolta Man’youshu (Raccolta di diecimila foglie) in cui sono menzionate le pescatrici dell’isola di Okinawa, ma anche in libri come quello scritto da Yukio Mishima “La voce delle onde”, alimentandone il mito e un certo mistero, tanto che sono state raffigurate anche in manga e anime.