Il nuovo albo di Dylan Dog è carico di quelle atmosfere catastrofiche del pericolo atomico, riportandoci alla mente quei film anni 70-80 come “The Day After -il giorno dopo” ma anche quella cinematografia Anni 60 fatta di esperimenti, sette e popolazioni rinchiuse nel loro nucleo fatto di superstizioni e riti macabri.
“La Città senza nome” con disegni di Giorgio Santucci e sceneggiatura di Gabriella Contu, è una storia lineare con aspetti non banali: Dylan si ritrova in una città spettrale, senza nome, situata in mezzo al bosco, non segnata sulle carte geografiche, abitata da individui particolari ciechi che onorano la torre di raffreddamento della fusione nucleare.
Ma chi sono queste persone tagliate dal mondo esterno? Cosa vogliono da Dylan Dog?
Un thriller che pagina dopo pagina appassiona il lettore, con un tratto grafico che rende appieno le atmosfere crude e opprimenti con un taglio molto cinematografico, tanto che lo stesso Dylan non sembra neppure un personaggio di fumetti ma un attore hollywoodiano degli Anni 50-60.
Il tema nucleare, nel come viene descritto e disegnato, riporta alla mente il disastro di Chernobyl con tutti quei misteri che non sono mai stati esposti all’opinione pubblica. Lo stesso vale in questo albo, tanto che il protagonista principale è la Città, alla quale gli è concessa addirittura una voce narrante, facendo diventare Dylan un comprimario della “vita” della cittadina sorta intorno al reattore.
Una lettura intrigante con quel sapore retrò dei film in bianco e nero, in cui l’umanità era sempre sul lastrico dell’estinzione per colpa propria.