Dopo quasi 30 anni, abbiamo, forse, un finale per una delle serie animate più travagliate del panorama Nipponico: Evangelion . Un anime che ha stravolto il concetto di animazione, caratterizzato da elementi che travalicano il concetto di fantascienza.
“Evangelion 3.0 + 1.01 Thrice Upon a Time” è l’ultimo lungometraggio della tetralogia che dovrebbe porre fine alla storia ideata da Hideaki Anno nel 1995, il quale è cresciuto con la sua stessa creazione e proprio per questo, alcuni elementi si sono leggermente ammorbiditi durante gli anni, facendo perdere quegli aspetti tanto misteriosi, in cui i fan cercavano di leggerci chissà cosa.
In quest’ultimo film, più di due ore, le vicende riprendono dalla fine del terzo e…. e ci ritroviamo nuovamente catapultati in un’opera con una trama caotica, con concetti surreali appellandosi alla filosofia e alla teologia, in un miscuglio di insolita insofferenza dei protagonisti.
L’introspettiva psicologia, tanto esaltata dalla critica cinematografica, si potrebbe delineare con una semplice parola: sono dei psicopatici, dei disadattati della società. Shinji è l’emblema del disadattato che potrebbe solamente vivere su di un eremo, lontano da tutto e da tutti. Il padre Gendo che avevo sempre considerato un uomo, eccessivamente fissato con i suoi scopi lavorativi ma in possesso di un’autorevolezza e personalità, si è dimostrato un tremendo sfigato, forse peggio del figlio. Dopo anni, in cui ci si chiedeva una spiegazione, delle risposte in questo mondo in guerra tra umani ed entità angeliche, di ricerche spirituali, riceviamo come conclusione una follia di Gendo, disposto a distruggere la Terra e i suoi abitanti, pur di ricongiungersi con la sua defunta moglie: senza parole se non insulti.
Il lungometraggio, non è altro che la realizzazione dell’autocompiacimento dell’autore, in cui sono inseriti dialoghi privi di senso, inglesismi forzati, termini tecnici privi di fondamento, tutto condito da suggestioni religiose e mistiche, concetti estrapolati dalla loro sede naturale e catapultati a caso nell’anime, privi di qualsiasi significato.
Tutto questo in un intreccio infinito di convulsioni mentali, fini a se stessi che porta a niente.
In quest’ultimo film, salvo il momento dalle tinte romantiche e piacevoli di Rey Ayaname che per un breve periodo della sua vita, la conduce come una normale ragazza tra gli abitanti del villaggio, insegnandoli concetti base della vita: il lavoro ( la semina del riso), il piacere di stare insieme e l’apprezzare il riposo nelle acque termali. Un momento di serenità, dal quale si sarebbe dovuto evolversi le vicende finali, mettendo definitivamente fine a quei misteri che non avevano più senso di esistere.
A livello di animazione, siamo di fronte a qualcosa di epico, colori vivaci e accattivanti, fluidità dei movimenti morbidi e privi di scatti con una realizzazione delle profondità da risultare reali, una tecnica che non ha niente da invidiare ai grandi kolossal live dei supereroi.
La domanda adesso è? Siamo sicuri che questo sia il finale oppure……