Tra un fitto programma di eventi, meet and greet, concerti e conferenze, il workshop domenicale sul doppiaggio è quasi passato inosservato. Un errore imperdonabile dell’organizzazione di Gardacon averlo lasciato nascosto nei meandri del programma, senza indicazioni, senza le modalità, senza un battage mediatico. I pochi fortunati che hanno afferito a questo incontro ne sono usciti cambiati, più consapevoli della propria voce e potenzialità, probabilmente anche più maturi di come giornalmente la usiamo in maniera errata a causa di abitudini errata. Per quanto questa condizione valga soprattutto per chi usa la voce per lavoro, lascia l’interrogativo di quante volte avremmo potuto comunicare più efficacemente solo usandola in maniera appropriata. Dal farsi capire meglio, al dare la giusta impronta emozionale per trasmettere meglio il messaggio al nostro interlocutore.
Luca Gatta, direttore della Scuola di doppiaggio di Brescia, in poco più di due ore ha stravolto alcune certezze, dimostrando in maniera eloquente che il doppiaggio è una forma d’arte attoriale ancora più complessa, articolata e sublime di quanto siamo abituati a pensare. Ci immaginiamo il professionista rigido, impostato, concentrato sul testo imparato a memoria, con mille riferimenti su ciò che occorre dire o fare per rendere al meglio il dialogo assegnato. E lo fa con la professionalità, umanità e trasporto di un vero insegnante, che ha studiato per anni come comunicare agli allievi il meglio di questa professione straordinaria. Lo fa abbracciando tutti, sostenendo fermamente che non ci sono vincoli veri a diventare doppiatore. Chi pensa di avere la voce brutta può doppiare, visto che deve interpretare. Chi è dislessico è quasi avvantaggiato perché sarà portato a memorizzare le righe e avrà gli occhi solo sulle labbra dell’attore, favorendo la precisione del lipsync. Chi ha difetti di pronuncia, deve solo correggerli. In realtà è ancora più sottile nella sua esposizione, parla di “peculiarità negativa”, quasi a pulire il connotato “difetto” di quella sensazione stucchevole di essere giudicato.
Un susseguirsi di esempi, citazioni, rievocazioni a doppiatori storici e parole di elogio a molti attuali, interessanti consigli ed è il momento di fare la dimostrazione pratica. Un breve briefing, una spiegazione sui pochi strumenti ed eccolo con la cuffia apposita ad ascoltare per la prima volta il dialogo in originale. In scioltezza esegue il doppiaggio, che in sala percepiamo quasi in un sussurro, una breve attesa, e finalmente riascoltiamo stupefatti l’anello riddoppiato, quasi non riconoscendo quasi la voce che ci aveva allietato fino a pochi secondi prima. Ed è la volta dei coraggiosi che vogliono provarci. Ogni sessione è una sorpresa, lui li segue attentamente correggendoli, ed è sempre una nuova scoperta di come un doppiatore vede diversamente da noi uno spezzone. Un volo pindarico tra “non dovete inventare nulla, quello l’ha già fatto l’attore, voi dovete solo ridare la stessa intensità da bravi attori, senza stravolgere ne cambiare nulla” e “devi vestirti come lui virtualmente, anche se tu stai doppiando con la giacca e cravatta, lui indossa una t-shirt nerd ed un cappellino, entra nei suoi vestiti e vedrai che cambierai da solo la prospettiva della voce”.
Un piacere per le orecchie ed il cuore sentire un insegnante di livello parlare alla pari con gli allievi. Senza sbavature, senza alzare la voce, in modo pacato, mirato in maniera millimetrica, eppure in una semplice frase trovi quella sensibile spinta a fare quel gradino in più verso il miglioramento immediato. Quel sostegno che ti rende conscio di quanto gli sforzi recitativi, mentali e di dizione finora sopportati, hanno un senso logico compiuto e non sono un riempitivo opzionale. Senza queste basi, si rimarrà sempre piatti e la crescita professionale si assesterà nella mediocrità.
Sotto certi aspetti nulla di nuovo, la stessa Federica Simonelli ce lo anticipò qualche mese fa, eppure oggi è arrivato a rombo di tuono questo messaggio per le nuove generazioni di doppiatori. In un periodo in cui tutto corre veloce, occorre a volte rallentare e prendersi il proprio tempo per affinare le tecniche recitative e di dizione. Reduce ormai di una carriera in ascesa, si perde in più di un decennio fa il suo mirabolante spettacolo teatrale che mi diede il primo assaggio del suo talento recitativo, fino al vederla “live” doppiare un anello di One Piece Red come Uta.
I due fulmini a ciel sereno, come dicevo, sono arrivati solo un pugno di ore dopo sul palco centrale. Patrizia Scianca e Federica Valenti, grazie a Voci Animate, hanno confermato in pieno come la loro storia di attrici teatrali abbia influito in maniera determinante e massiva nel controllo e modulazione emozionale e vocale. Nell’incontro hanno ampiamente rievocato quanto il loro percorso sia stato, tanto complesso, quanto appagante, ma è indubbio che ogni otaku ritrova in loro così tanti personaggi sparsi, anche in serie diametralmente opposte in concept ed emozioni, da rimanere a tratti estasiati, a tratti quasi sbigottiti.
Sapere che le ingenue uscite di Gohan e il “Voglio Vivere” di Nico Robin provengono dalla stessa voce, così come le moine di Chopper vergognoso potrebbero diventare le risate di Dexter, è strabiliante. Eppure dietro a tutto questo c’è sudore, sforzi, studio e un perfetto controllo della voce, sia per rendere al meglio il personaggio, sia (cosa che anche Luca Gatta ha ribadito più volte) per preservare da sforzi e logorii le corde vocali. Parafrasando un noto brand, la tecnica è nulla senza controllo.
E’ sicuramente auspicabile che, in un momento importante come questo dove i contenuti digitali fanno da padrone nella comunicazione mondiale, si riesca a tornare alla formazione di doppiatori di alto livello. Spesso, complici anche i committenti che si affidano ad influencers invece che a professionisti, si tende a snobbare il lavoro di uno dei comparti artistici che è stato per lungo tempo un fiore all’occhiello nazionale lanciandosi su serie sottotitolate, convinti che sia la soluzione unica. Pur sostenendo che solo in lingua madre può dare il massimo rispetto al concept originale, la caratterizzazione che i nostri doppiatori possono dare non è escluso che sia perfino superiore a livello emotivo e di contesto.