Tra le pieghe di un ricco programma di eventi, la Milano Games Week 2022 rilancia dopo 21 anni un tormentone che ha appassionato una generazione di otaku. Sul main stage domenicale, quei dieci minuti di anteprima di “One Piece Red”, il nuovo film targato AnimeFactory, è un dolce ricordo dell’adolescenza di un capolavoro ormai oltre le 1000 puntate. Renato Novara ed Emanuela Pacotto cullano con la loro voce gli astanti, ormai affezionati ai loro personaggi ventennali. Eppure c’è una nuova ventata nell’aria, una diva di fama mondiale, Uta, che prende le redini del lungometraggio come protagonista. Una cantante la cui vita è legata indissolubilmente, nel belpaese, ad una nuova voce che mi auguro potrà davvero cambiare il mondo intero.
Tra le star del doppiaggio anime, Federica Simonelli, è un nuovo germoglio pronto a sbocciare per molti. Per altri la fortuna di averla conosciuta anni fa, e vederla in mezzo all’Olimpo, è motivo d’orgoglio. Un incontro fortuito nel 2010, periodo differente ma stessa convention: Cartoomics. Era il prologo della storia di “Kyo Hargreaves”, una delle cosplayer con cui ho più avuto il piacere di collaborare. La fatina con il vestito rosa a balze e le maniche sbuffo, che aveva imparato a vestirsi per indossare abiti non convenzionali, si era trasformata in una delle mie muse. Tra anime e manga più o meno conosciuti, ho potuto spaziare tra vari shooting indimenticabili. Fu anche la modella del mio primissimo arrabattato servizio street, un esperimento nato in meno di mezza giornata che mi ha fatto uscire dalla zona di comfort del cosplay. In un periodo in cui l’attuale opulenza e prosperità di materiali era un miraggio, vi era una mancanza spesso di siti dedicati, lei riusciva sempre ad essere impeccabile per ogni occasione. Il giusto mix tra il suo piacere di studiare photosets, le doti interpretative, e quell’astinenza che ogni tanto il cosplay da, permette tutt’ora di beneficiare delle sue doti artistiche, grazie anche a due spalle d’eccezione (Laura Morandi ed Esther Lipofago) con cui spesso crea trio stupefacenti. Le rimembro ancora nella neve di Novegro a ballare “Shocking Party” delle A-Rise.
Contrariamente però a quanto si possa credere, il cosplay è stato un hobby che ha solo amplificato le doti artistiche di Federica. Incredibilmente era l’occasione per vivere una giornata scanzonata senza troppi vincoli, più che un evento programmato nei dettagli. La sua vocazione ha invece sempre avuto come perno l’interpretazione. Già dalla terza elementare il percorso della sua carriera era stato tracciato verso la recitazione. Il diamante era ancora allo stato grezzo, andava sfaccettato per farlo splendere sulla migliore incastonatura. Galeotta fu l’esibizione in tenera età al Piccolo Teatro, la chiave di volta per trovare l’affinità di questa arte nobile. È probabilmente stato questo l’istante in cui, inconsapevolmente, la rotta verso la destinazione finale è stata tracciata. Corsi di doppiaggio, di teatro, di recitazione cinematografica e televisiva, insomma un’immersione a 360° per apprendere e comprendere sé stessa e la sua vera vocazione. Il destino ci ha fatto nuovamente rincontrare nel suo unico spettacolo teatrale fuori dai saggi di fine corso, quando interpretò una magistrale Satine nel musical “Spectacular Spectacular” ispirato a Moulin Rouge. Un’esperienza molto “challenging” a suo dire, dovendo unire tre doti su cui non si sentiva sicura. Forte della recitazione, con i primi rudimenti di canto e nessuna nozione di ballo, ricalcare Nicole Kidman in una veste anche ammaliante era una sfida ardua. Eppure per me quella sera fu magica, amante di teatro ma con poco tempo per seguirlo, con una della mie beniamine sul palco. E ovviamente con la reflex in mano per fissare i ricordi.
L’ultima curva era però alle porte, il momento in cui la percezione che il suo posto fosse “davanti ad un leggio e dietro un microfono” si avvicinava a grandi passi. Qualche turno di doppiaggio era già in cantiere, ma il diamante ancora non era stato lucidato. La sensazione di pienezza, di avere trovato lo scopo e di poter dare il meglio era ormai una certezza. La passione per i manga e la recitazione avevano trovato il connubio perfetto nella possibilità di dare vita alla carta stampata tramite la propria voce. Seppure la possibilità di doppiare un’anime non fosse il motore primario della scelta, era la ciliegina sulla torta per rendere il proprio lavoro il sogno perfetto.
Fu proprio una società in cui segui un corso di doppiaggio che generò la scintilla. E fu proprio solo uno spunto, perché tutto iniziò con la registrazione dei rumori di fondo, brusii, chiacchiericcio. Al massimo dare voce a personaggi di contorno con una battuta saltuaria. Un crescendo di cinque anni, dal 2014 al 2019, alla rincorsa di audizioni e provini, piccoli colpi di fortuna e qualche ruolo stabile che iniziasse a generare un piccolo reddito autonomo. Un percorso anche con imprevisti, con l’assegnazione di un personaggio tosto e che fa ben sperare, ma che sparisce inaspettatamente nella serie con l’arrivo della nuova tranche di episodi. Una caparbietà però che mi ha stupito molto positivamente, considerando l’attuale generazione alla ricerca dei soldi facili. Un talento a mio avviso che ha ancora più valore, in quanto suffragato da anni di studio intenso e ricerca spasmodica della chiave definitiva per spalancare le porte di una brillante carriera. Un’umiltà mentre parla dei suoi lavori, che consolidano il suo amore verso la recitazione, più che al tipo di contenuto da doppiare. Certo che, il giorno in cui gli venisse affidata una Principessa Disney con tanto di canzoni, potrebbe coronare il suo sogno di una vita. Anche perché, non paga di tutti i corsi pregressi, ora oltre ad affinare le tecniche di doppiaggio sta perseguendo anche la strada del canto per completarsi ulteriormente.
Il diavolo poi fa le pentole e dimentica i coperchi, per cui dopo anni di calma piatta la Yamato mi lancia una bomba: Haikyuu doppiato in italiano. Un’anime straordinario e vero, che un’amante della pallavolo come me ha adorato e venerato tramite ogni componente del team Karasuno (anche se per me il vero mito è Bokuto Kotaro). E un’unica, magnifica, dolcissima, introversa e materna manager della squadra: Kiyoko Shimizu. Un affetto così grande verso queste anime che non sarei mai riuscito a rivederlo in italiano, ma ovviamente il coperchio dimenticato è la doppiatrice di Kiyoko. Curiosamente è bastato un turno a doppiare la prima stagione talmente le battute sono risicate, ma ho sempre pensato a quanto potesse essere difficile trasmettere in quel poco tutta la grandezza e la presenza confortante che Federica ha dovuto trasmettere con la sola voce. O come è possibile riuscire ad essere pacate e contenute in una battuta quando poco prima sullo schermo ti è passata una scena dinamica che ti ha mandato in hype, tipo il match point che tu devi affrontare senza poter gridare come fanno gli altri personaggi, ma devi rimanere composta in cabina di doppiaggio quando vorresti agitare le braccia. Ed anche parlando con Federica, capisci quanto lavoro c’è stato per condensare in quegli attimi tutto l’amore che ha Kiyoko per il Karasuno, quanto è entrata nel cuore di questo personaggio per comprenderlo nell’intimità. Un lavoro che esalta davvero gli sforzi di Federica e del direttore del doppiaggio Patrizio Prata. Un lavoro addirittura doppio, visto che una parte è stata ridoppiata da capo una volta trovata la perfetta simbiosi tra la Kyoko fredda e dolce. Una ricerca dell’autenticità che fa onore alla serietà professionale del cast.
Un altro coperchio dimenticato riconduce ad un’importante coincidenza, ovvero che la voce di Kiyoko e Uta sono appartenenti alla stessa doppiatrice nelle rispettive serie giapponesi. Un’assonanza fortunosa che Marco Boschi ha colto al volo, affidando a Federica Simonelli appunto la voce della diva mondiale in One Piece Red. In realtà questo vezzo è stato principalmente supportato dall’esperienza pregressa di Federica per cui, con una semplice modulazione, è stato possibile dare una continuità ad Uta nelle tre fasi della crescita: neonata, bambina e adulta. Con la sua voce ha coperto quindi tutto il parlato, lasciando a Ado solo il gravoso compito di cantare, senza dover rovinare con un adattamento italiano la straordinaria soundtrack. Non posso poi che concordare con lei che, essere parte di One Piece in versione movie, sia davvero un importante traguardo. Questo anime ha una portata mondiale, ed esserne la protagonista è davvero una cosa emozionante e sconvolgente come primo impegno di spessore. O come afferma lei trasognante mentre me ne parla: “Apoteosi”. Eppure se rimetto insieme i suoi anni di duro studio, non posso che essere orgoglioso di ciò che ha fatto e ammettere che se l’è davvero meritato.
Più volte primo per incassi anche in Italia, il film e Federica stanno ricevendo attestati di affetto e stima da parte dei fans. Lei afferma che una buona parte del merito vada al direttore del doppiaggio, Renato Novara. Dopo avere visto il suo approccio allo stand Molok Studios durante la sessione live di doppiaggio con Federica, ritengo che sia sicuramente un professionista che può davvero dare tanto anche a livello umano. Certo è che, se è riuscito a rendere soddisfatta pienamente sul proprio lavoro una persona molto autocritica come lei, la collaborazione è stata efficace e proficua. Praticamente questo film è diventato imperdibile, sia per scoprire l’interpretazione di Federica di Uta, sia per svelare il poliedrico personaggio che si cela dietro ad essa.
Grazie a questo film, si sono spalancate le porte del primo “bagno di folla”, un momento curioso per tutte le persone che finora avevano sentito la voce di Uta nei vari trailer, ma ancora non conoscevano la brillante doppiatrice che l’aveva impartita. La “firma dei cappelli” è però stato a prescindere un momento importante, il primo passo verso la notorietà e il primo sorso di celebrità. Federica ci scherza su, adducendo anche all’inconsueta possibilità per la prima volta di entrare gratis in fiera, su chi non aveva capito perché fosse li considerando che c’erano i doppiatori dei personaggi principali, o per l’empasse di alcuni autografi con chi non sapeva se farselo firmare o no o lei se doveva farlo o no. Sicuramente se venisse replicato domani, dopo una settimana di messa in onda nei cinema, lo scenario sarebbe tutto diverso. Lo attestano i diversi tag e messaggi sui social. La cosa curiosa è però che il dubbio peggiore non era se doveva o no firmare alcuni cappelli, ma per quale ragione qualcuno avrebbe dovuto fermarsi a chiederlo. Cosa oltretutto comica perché preceduta nei giorni antecedenti, proprio per questa insicurezza, da post sui social in cui invitava gli amici a passare per far numero in cambio di una bevuta post fiera. Un intoppo cancellato con un colpo di spugna nella presentazione ufficiale al pubblico sul main stage, dove finalmente il diamante ha iniziato a brillare per la prima volta sotto i riflettori.
Ho voluto fortemente esserci a questa presentazione perché, per quanto “distanti” per molti versi, sono sempre rimasto affascinato da Federica Simonelli. Umile, determinata, caparbia e sempre impeccabile. Quasi passa inosservato il suo talento da tanto tende a nasconderlo e sminuirlo. E ho voluto raccontarla per come l’ho vista evolvere, senza scappatoie, senza sotterfugi, studiando e puntando all’obbiettivo in maniera meritocratica. La versione più vera che io potessi raccontare dopo alcune chiacchierate con lei in questi dodici anni. Vuole essere un modo per ispirare altri doppiatori, altre persone talentuose che lottano per farsi notare, sottolineare che il doppiaggio non è una bazzecola che si improvvisa da un giorno all’altro. Però con sangue, sudare e lacrime poi ce la fai, e diventi Uta, una diva mondiale!