Sulle pagine di Mondo Japan abbiamo l’occasione di ospitare Giuseppe Cristiano, di professione Storyboard Artist, il quale si è anche diviso e cimentato nel fumetto, in cui emerge il gusto dl particolare e l’assenza di dialoghi che ne fa un’ artista particolarissimo.
I suoi racconti con un tratto iperrealistico scemano quasi nell’astratto, con un tratto quasi pittorico.
Un’artista dal talento poliedrico che passa dal cinema ai videogames, dalla musica al fumetto… e allora lasciamo spazio alla parola a Giuseppe
Ci spieghi cosa è uno “Storyboard”?
In generale gli storyboard sono bozzetti che permettono di visualizzare un progetto (film, pubblicità, gioco, animazione, video musicale, etc) già nella fase di pre-produzione così da calcolare costi e tempi e pianificare le riprese. In molti casi servono al regista per comunicare con il team e mostrare la propria visione ma anche al produttore per cercare finanziatori. Nella pubblicità a volte servono per capire se un determinato spot funziona oppure per convincere il cliente riguardo un’idea.
Chi o cosa ti ha spinto ad intraprendere questo percorso?
Ho iniziato a muovere i primi passi come illustratore e sceneggiatore di fumetti intorno alla metà degli anni 80. Collaborando con giornali e riviste. Ero davvero alle prime armi così il mio primo approccio con gli storyboard non funzionò. Un po’ perchè ero più interessato ai fumetti ma la verità era che non avevo alcuna nozione di cinema o pubblicità, non conoscevo per niente la professione.
Poi negli anni mi ci sono avvicinato più volte. Quando mi sono poi ritrovato all’estero avevo già cominciato a muovere i primi passi verso il mondo della produzione e così mi ritrovai a lavorare per una casa di produzione di cartoni animati.
Avendo già la passione per il cinema e quella del disegno, mettere assieme le due cose è stato quasi un percorso naturale.
Oggi è molto semplice trovare informazioni, esempi di storyboard, anche tutorial etc. Ma in quei tempi tutto ciò che conoscevo lo imparavo sul campo, lavorando con vari registi e progetti di volta in volta. Infatti non esistevano nemmeno tanti libri sull’argomento. Io scrissi uno dei primi manuali che poi cominciò a circolare in varie scuole di cinema, arte e multimediali dove di tanto in tanto mi invitavano a fare lezione.
Ti sei occupato di lavori che spaziano dal cinema alla pubblicità, dai videogames ai fumetti. Tutte queste esperienze cosa ti hanno lasciato in dote.
Beh, c’è sempre qualcosa da imparare, soprattutto adesso che la tecnologia fa passi da gigante continuamente. Nel giro di poco più di 20 anni c’è stata una notevole evoluzione in tutti i campi.
Quando cominciai a lavorare per la pubblicità si girava ancora in pellicola ora per esempio è tutto in digitale. Ogni regista ha un suo stile e lavorando anche con i DoP (direttori della fotografia) si imparano anche tanti trucchi personali di questi professionisti. Si impara soprattutto a raccontare storie in tanti modi diversi perchè ognuno ha una sua visione. Si impara anche a leggere testi in maniera diversa, interpretarli e visualizzarli a seconda della necessità cioè una sceneggiatura non va solo letta ma va analizzata, per capirne i vari punti di vista e soprattutto per essere sicuri che funzioni. Molto spesso infatti mentre lavoriamo sugli storyboard ci rendiamo conto che qualche cosa nello script non funziona, allora dobbiamo intervenire per riparare il danno e riportare la storia in carreggiata.
Tra le varie opere a cui hai partecipato o che hai realizzato, ricordi qualcuna con piacere per via di qualche aneddoto o che hanno rappresentato un momento importante per la tua carriera.
Oh sono tante le soddisfazioni. Aver lavorato per esempio con dei pionieri visionari dei video musicali quali Jonas Åkerlund e Johan Renck, oppure con DoP importanti quali Hoyte Van Hoyterna. Uno dei periodi più divertenti è stato quando lavoravo con per alcune serie animate e per un paio d’anni ho diviso la stanza d’ufficio con un regista simpaticissimo e folle, Ray Kosarin che aveva lavorato per Beavis & Butthead e Daria. Le giornate non finivano mai ed ogni volta era uno spasso. Ho ancora una scatola piena di bozzetti che ci facevano l’uno con l’altro per prenderci in giro. Da lui ho imparato tantissimo appunto sull’animazione classica. Il 3D arrivò un po’ dopo.
Altrimenti ci sono state tante occasioni di divertimento e momenti memorabili come quando passai una serata in compagnia dei Radiohead e mi feci accompagnare a casa con la loro limousine. Oppure ancora aver incontrato Gene Simmons a Malibù con la mia ragazza (ora mia moglie).
Sicuramente anche l’aver disegnato gli storyboard per il gioco Mad Max che è stato uno dei miei eroi di gioventù.
Ti dedichi anche alla realizzazione di graphic novel. Come mai, questa caratteristica di realizzale prive di dialoghi con un tratto molto iperrealistico.
Si tratta di una serie di esperimenti che produco tra un lavoro e l’altro. La scelta di non avere testi è una costrizione che mi creo assieme a tante altre a seconda dello stile grafico che decido di adottare. Soprattutto per il fatto che lavorando all’estero voglio creare storie che posso pubblicare in qualsiasi paese senza dovermi preoccupare dei testi. In generale quando lavoro ad una graphic novel è sempre un lavoro di ricerca difatti a seconda delle storie cominciò a mettere diversi paletti riguardo stile, strumenti che andrò a utilizzare, etc.
Hai lavorato molto all’estero, che differenza hai riscontrato con l’Italia l’approccio che hanno gli appassionati e le istituzioni nei confronti dell’arte-cultura pop.
In Italia c’è molta più cultura dei paesi Scandinavi per quanto riguarda i fumetti per esempio. Mi ricordo quando iniziai a lavorare per una produzione di cartoni animati e di tanto in tanto portavo in studio materiale di varie serie come ispirazione ma anche per farle vedere ai colleghi e mi resi conto che dalle loro parti non c’è stata quella “invasione” di serie come nei nostri anni 80. Nessuno conosceva Lupin, Goldrake, Jeeg Robot e tanti altri inclusa l’Ape Maja e dire che facevamo cartoni animati per bambini. In anni più recenti c’è stato una sorta di revival di tante cose dei gloriosi anni 80 e 90 ma si è sempre trattato della punta dell’iceberg. Per quanto riguarda invece cinema e tecniche all’estero ho trovato un terreno molto fertile ed ho imparato tantissime cose che forse in Italia non avrei potuto.
Per esempio ho lavorato per diverse case di produzione di giochi internazionali che però da noi non esistono. Come non esistono certe scuole multimediali dove di tanto in tanto ho fatto anche lezione.
Vorrei anche aggiungere che nel momento in cui andai all’estero scoprii tutta una serie di serie TV, film e produzioni che in Italia non circolavano e parlo degli anni 90, molto prima della rivoluzione streaming. Quindi capite che nel momento in cui misi fuori il piede dall’Italia entrai in un mondo pieno di novità.
E’ il tuo momento. Cosa ti senti di dire ai lettori di Mondo Japan…..
Sono contento dello spazio che mi avete dedicato e vi seguo da tempo avendovi scoperti da un link su Facebook. Beh cosa dire ai lettori? Sono anche io uno di voi anzi sono molto più nerd di quanto possiate immaginare 😀