Quando negli anni 90, internet muoveva i suoi primi passi su scala mondiale, le informazioni, nel nostro caso di anime e manga, erano riversate su alcune riviste del settore. Tra queste mi ricordo di “Japan Magazine”, nata nel 1991, la quale non presentando degli articoli molto esaudienti, puntava sulle immagini a colori e realizzando servizi su titoli di successo e alcuni ancora inediti in Italia, tutto su pagine patinate che non era da tutti.
Una rivista semplice, adatta al pubblico del periodo che si stava avvicinando o riscoprendo una forma artistica per molti anni è stata bistrattata e considerata per bambini. La sua popolarità, permise a molti di uscire dall’ombra e scoprire che c’erano altri appassionati con cui condividere i propri gusti.
Tra alti e bassi, tra chiusure forzate, perché definita pirata (cambiò spesso il nome dell’editore che in realtà era sempre lo stesso) Japan magazine, rispetto a molte altre consorelle riuscì, rispetto a loro, ad arrivare fino agli Anni 2000, passando da mensile a quindicinale poi ritornando mensile, cambiando formato e grafica.
La sua struttura era un mix tra una rivista specializzata e “Cioè”, in cui spesso vi erano rubriche che esulavano dal mondo Nipponico, la più apprezzata era la “Posta del Drago”, gestita da qualcuno della Redazione, in cui spesso si parlava di situazioni extra ludiche, finendo spesso sul personale, tanto da istituire “La Posta di Mathilda”
Sulle pagine venivano pubblicati anche alcuni “Anime Comics” come “Porco Rosso”, “Lupin 3”, “Dragon Ball”, “Gundam”…. Che gli causarono i problemi di chiusura perché presentati senza l’acquisto dei diritti.
Senza voler entrare nello specifico e sul fatto che era una rivista dalla concezione molto amatoriale su livello Nazionale, bisogna ammettere che l’idea non è stata malvagia, teneva compagnia, pubblicava quello che i lettori volevano; quando c’è stato il boom dei “Cavalieri dello Zodiaco”, in quasi tutti i numeri c’erano delle immagini. Per molti era un modo di dedicarsi alla scrittura con le “Fan Fiction”, l’angolo dei disegni dei lettori, “La Fiera del Bambù” per conoscere amici o vendere o acquistare oggettistica( VHS, fumetti, videogames…), il “JM Karaoke” con le parole delle sigle dei cartoons, la classifica dei personaggi più amati….
Si denotava una struttura redazionale fatta da semplici appassionati o curiosi come chi la leggeva, infatti erano molteplici gli errori, incongruenze e non sempre una impaginazione e grafica professionale, interviste dubbie. Però quei colori vivaci, le copertine invitanti, poster e adesivi, il fatto di rendere il lettore partecipe alla vita stessa della rivista e un costo accessibilissimo: 3000 mila lire, ne decretò il successo e tutt’oggi penso che chiunque trovasse una coppia in casa o nelle fiere, uno sguardo non gli si nega, perché per quanto ne possono dire i puritani, “Japan Magazine” è stato un pezzo di storia della cultura del made in Japan in Italia.