Lucca 2022 – Hope – Foto mosse di famiglie immobili – Valerio Lundini
31/10/2022 Salone del Vescovado, Incontro con Valerio Lundini, autore del libro “Foto mosse di famiglie immobili” che sfida le leggi del vivere civile e anche quelle della fisica, presenta Alessandro Apreda del blog “L’antro atomico del Dr. Manhattan”.
Evento sold out, la fila per ascoltare il comico ricopre due lati della piazza dell’arcidiocesi, in molti rimangono fuori senza poter riuscire ad accedere.
Nello sfarzoso salone, circondato dai ritratti affrescati, la prima “pezza” emerge subito facendo notare ad Apreda che per fortuna su quelle sedie così pesanti devono solo sedersi e non spostarle.
Per leggere la dedica “A mia figlia Lucilla” che recita “indagata per bancarotta fraudolenta, peculato, spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti e rissa aggravata, ma per me sempre innocente, piccina mia!” chiede una copia in prestito al pubblico, perché lui ne è sprovvisto e Alessandro ne ha una copia vecchia. La dedica alla figlia contiene la natura della comicità nonsense peculiare di Lundini, che di figlie non ne ha. “Potrei avere una figlia che sarebbe mia coetanea. Cioè coetanea di quando l’ho partorita”.
Quando è ospite in programmi televisivi per presentare il libro desta stupore la dedica ad una figlia morta inesistente. “Mi hanno chiesto tre cose: non parliamo di Memo Remigi, ma è vera questa figlia e un’altra che non ricordo bene”.
Sul titolo ammette: “I titoli li metto a caso. Però questo sembra una cosa che c’è un pensiero dietro”.
Per spiegare che per i suoi libri trae ispirazione da quel che gli capita nel vivere quotidiano dice: “Nel primo libro avevo scritto di un ostello in cui mi ero trovato male. Non volevo fare la recensione, ma su Tripadvisor qualcuno faceva dei bei commenti quindi ho fatto una brutta recensione io. E mi hanno risposto in maniera molto piccata. “Beh, guardi l’acqua era potabilissima”. Poi mi sono immaginato un dialogo continuo, che non penso si possa fare su Tripadvisor, un botta e risposta”.
Qualche ispirazione arriva anche da plateali incomprensioni: “A volte ascolto una canzone in inglese e capisco una cosa diversa. Per esempio, sentivo Chuck Berry che diceva I’m so glad it wasn’t me, ma invece non era quello. Io però ci ho scritto una canzone con quel significato. Con il libro ho fatto lo stesso. Perchè io di solito leggo le prime pagine, poi mi distraggo e smetto di leggerli. E vado avanti io a raccontarli“
Ammette di leggere pochissimo, degli italiani gli piace Maurizio Milani. Adora i tre libri di Rocco Tanica. Dichiara che avendo letto i racconti di Woody Allen si è accorto che sono meglio dei film, che invece sono penosi. Ammette di sapere che nessuno legge i libri, meno che mai i suoi. Qualcuno legge le prime pagine, altri si spingono alla metà, per questo lui, in una raccolta di racconti, mette il migliore alla fine.
Il suo preferito è quello sulla sua non-esperienza al Berghain club di Berlino (ci tiene a specificare che non è un Albergo berlinese in un italiano maccheronico – Alberghein) dove possono entrare solo i V.I.P. e quindi lui viene “rimbalzato” all’ingresso perché si presenta con le Bull Boys e lo zaino dell’Invicta. Si narra che in questo club esclusivo ed esageratamente trasgressivo qualcuno si sia fatto anche orinare addosso da una ballerina e che a mezzanotte mettano la musica del Ciclone. La cosa bella è che è vietato fare fotografie, quindi nessuno può avere prove che sia tutto inventato. Tanto il suo pubblico non lo fanno entrare al Berghain.
Perché scrivere un libro di racconti? Per questioni di budget. In un libro si può scrivere quel che ti pare e non costa nulla, il vero freno alla libera espressione sono i soldi. Comunque ha già in programma un nuovo progetto futuro: scrivere un musical. Però con i soldi che hanno gli americani, che fanno i musical con teatri pieni di cose che volano, mostri e roba così. Però prima ancora dell’idea gli interessa il budget, perché non è vero che le belle idee vengono prima del budget. Se a un certo punto entra un mostro gigante che sbava sul palco non è che dici: “non c’è l’idea”.
Ricorda poi al pubblico del Comics la sua esperienza alla Scuola romana del fumetto. A Roma. Non come il Teatro romano di Verona, che non è a Roma. Ricorda come prima di frequentarla, quando era senza conoscenza della tecnica, producesse dei bei disegni. Di come poi, dopo aver imparato qual è la tecnica, ora scarabocchia solo su fogliacci improponibili cose che non saranno mai decenti.
Dice che gli piace suonare nella sua band: i VazzaNikki. Il nome della band, suggerito da Lillo (di Lillo e Greg), avrebbe potuto essere: I Reni Grandi, ma poi hanno optato per: i VazzaNikki, e pace… La band sa che Iva Zanicchi li conosce dal giorno in cui è stata annunciata la sua presenza sul palco del concerto del I Maggio, ma lei era a casa.
Sulla paura della censura al concerto del I Maggio ricorda che durante la canzone: “La guerra e brutta”, doveva intervenire una telefonata di Vladimir Putin. Il Presidente russo diceva che avendo ascoltato attentamente la canzone aveva preso la decisione di cessare le ostilità, di mettere fine alla guerra. Ricorda che il suo timore più grande non era la censura ma era che chi doveva schiacciare il tasto “play” per mandare in onda la telefonata (che svela in anteprima a Lucca essere un falso) potesse distrarsi e lui e la band sarebbero rimasti bloccati davanti a milioni di persone, in silenzio… un incubo. Bisogna scegliere bene la persona a cui far premere play.
“Spesso non capiscono il mio umorismo. Lecito, giusto, normale. Al Primo Maggio mentre facevo quella canzone ero positivo al Covid, questa è la prima volta che lo dico pubblicamente. Ma ho la sensazione che un po’ tutti ce l’avevano. L’unica cosa di cui mi pento è che ho contagiato Ambra Angiolini che purtroppo ci ha lasciato”.
Sul “Non si può più dire nulla” e la “dittatura del politicamente corretto”, racconta che per lui non è affatto così. “Questa è la domanda più fatta dopo “cosa hai fatto in quarantena”. Secondo me è più uno spauracchio, alle persone piace dire di poter essere censurati. Rispetto al passato possiamo dire molte più cose. Questo mito che non si possono fare le cose nasce su Twitter, ma le persone che ti insultano nei commenti non sono censura. A parte Memo Remigi, o il caso di Bigazzi che è il cuoco che si mangia i gatti. Cosa che io faccio regolarmente e comunque lavoro in RAI. Per il resto mi sembra che al massimo rischi qualche insulto online e qualche tiratina di orecchie. Quelli che fanno gli eroi dicendo “io lo dico lo stesso” non li capisco, non ci sono dei grandi rischi. Forse le bestemmie. Non che io vorrei che Carlo Conti bestemmiasse sulla RAI. Secondo me la censura al massimo è uno stimolo, so che in Toscana le bestemmie no, qui è parte della vita quotidiana, ma nel resto di Italia non vogliono che si dicano. Mi rendo conto di essere qui e non avere ancora bestemmiato e mi scuso per questo”.
Ci confessa che negli spettacoli da lui gestiti si trova a suo agio, nelle “ospitate” invece ha sempre paura di mancare nei tempi o negli argomenti. Disegnare ormai non riesce più. Suonare suona solo con la band perché da solo non sentirebbe all’altezza. Si definisce l’immagine del fallito di successo.
A chi gli chiede se sia più difficile fare comicità o dramma risponde: “Non è così difficile far ridere. Alla fine fai ridere anche se dici una sciocchezza come “Ambra Angiolini è morta”. La parte drammatica è difficile perché, alcuni film italiani, sono bruttamente drammatici, rischiano di essere patetici. Ma io direi che la distinzione fra comico e drammatico è una cosa del passato. Un film drammatico senza un filo di ironia diventa patetico, se non si prende un po’ in giro non sembra più reale. Così come i film divertenti hanno spesso un sottotesto drammatico. Proprio questo rende completa una storia. Nel cinema italiano mi manca quel filone di Sordi o del primo Verdone, con quel tocco drammatico nel film comico. Se una cosa è scritta bene funziona anche se è commedia”.
Dal pubblico chiedono se alla fine ha visto il film Siccità, di Paolo Virzì. Questione sorta durante lo spettacolo TV “Una Pezza di Lundini”. Lui ammette che sapeva che il film Siccità c’era. Poi spiega per chi non seguiva il programma, che la sua collega, Emanuela Fanelli, aveva girato questo film con Virzì ma, causa pandemia, questo continuava a non uscire. Quindi Lundini instillava il dubbio che Emanuela mentisse. Da questo è nato lo stimolo per la puntata in cui Emanuela si arrabbiava perché gli veniva detto che il film era inesistente. Ma molti pensavano che il film non esistesse per davvero. Anche quando Virzì è andato nel programma con Emanuela ha “retto il gioco”. Quando poi è finalmente il film è uscito gli sono arrivati migliaia di messaggi sul cellulare: “Mah.. esiste davvero!”. Lundini poi ammette: “Tra l’altro ancora non l’ho visto. Voi sì? Com’è? C’è Emanuela?”.
A chiudere la presentazione gli viene posta la domanda: ”qualcuno si chiede se Lundini ci è o ci fa”. La sua risposta è: “Non ho capito, cosa vuol dire: Lundini ci è o ci fa?”.
Risate, sipario e applausi.