Nel manga Natsuko no sake viene raccontata la storia di Natsko Saeki , una ragazza che lascia la sua famiglia e la campagna dove è cresciuta, nella prefettura di Niigata, per impiegarsi presso un’agenzia pubblicitaria a Tokyo, e quindi realizzare il suo sogno di indipendenza nella metropoli giapponese . Yasuo , suo fratello , invece, decide non solo di seguire le orme del papà , produttore di sakè, ma di realizzare il miglior sakè del Giappone. Per raggiungere questo obiettivo incomincia a cercare sementi per un riso speciale, tatsunishiki, quasi estinto a causa delle difficoltà che si incontrano per la coltivazione. Quando finalmente lo trova si ammala e muore improvvisamente e quindi Natsuko prende una decisione importante per la sua vita: lascia la città, torna in campagna, incomincia a occuparsi della coltivazione del riso e della produzione di sakè pur di realizzare il sogno del fratello.
Il sakè è una bevanda alcolica (più correttamente chiamata nihonshu, visto che per sakè la legge giapponese intende tutti gli alcolici in generale) , la più rappresentativa del Giappone ed è ottenuta da un processo di fermentazione che coinvolge riso, acqua, lieviti e koji , un fungo in grado di trasformare gli amidi in zuccheri semplici. Ogni ingrediente ha un ruolo importante per la realizzazione di un buon sakè:
il riso deve essere sakamai, è una qualità che cresce solo in alcune aree specifiche e ha chicchi più grandi e morbidi che permettono un maggiore assorbimento di acqua, ingrediente molto importante poiché rappresenta l’80% del sakè e la quantità e qualità dei minerali disciolti influiscono sul gusto finale;
il koji è un fungo che secerne un enzima in grado di scindere l’amido in zuccheri semplici, zuccheri che poi vengono trasformati dai lieviti in alcol, attivando la fermentazione;
il lievito usato viene scelto per la sua spiccata capacità di fermentare a basse temperature fino a concentrazioni alcoliche superiori al 20%.
Esistono due principali tipi di sakè: il futsuu-shu , il “sakè normale”, che può essere paragonato al nostro vino da tavola e rappresenta oltre il 75% di tutto il sakè prodotto, e il tokutei meishyoshyu , il “sakè speciale” che è caratterizzato dalla certificazione di raffinamento del riso . Raffinare il riso è importante in quanto viene rimossa la parte esterna del chicco contenente oli e proteine, che tendono a lasciare aromi strani o spiacevoli nel prodotto finito, e viene trattenuta solamente la parte interna dei chicchi, l’amido che ha le proprietà necessarie per la fermentazione.
Il sakè va bevuto “ giovane”, infatti va consumato entro un anno dal suo imbottigliamento, a meno che sia stato fatto invecchiare in botti di legno, in questo modo diventa un raffinato prodotto più longevo e duraturo nel tempo con una qualità migliore. Le varietà pregiate di sakè vengono servite fredde per non alterarne i delicati aromi fruttati e floreali. Il sapore è pungente, acidulo, astringente, con aroma delicato. Tradizionalmente è servito in piccole ciotole di ceramica, ma può essere usato anche un bicchiere da degustazione. A seconda della stagione può essere bevuto caldo, temperatura ambiente, fresco o con ghiaccio.
Il primo sakè venne chiamato kuchikamizakè ,Kuchi significa “bocca”, kami significa “masticare” e zake è la forma rendaku di “sake”, era fatto con il riso di un intero villaggio, castagne, miglio, ghiande, e veniva preparato sputando il miscuglio in un tino , più che una bevanda era una pappetta di riso masticata e poi lasciata fermentare. Il risultato era una bevanda leggera, dolce, con un grado alcolico molto basso ( 3-4 gradi alcolici) , sufficiente però per diventare una bevanda richiesta e preziosa, perché in grado di dare euforia. Gli enzimi della saliva permettevano agli amidi di diventare zucchero, ma la saliva non doveva essere quella di persone comuni, ma di sacerdotesse shintoiste, vergini giapponesi di grande bellezza.
Il kuchikamizake veniva prodotto esclusivamente durante le cerimonie nei templi shintoisti. Questo rituale shintoista ha un ruolo fondamentale nel film “Your Name” : bevendo il Kuchikamizakè il protagonista entra in connessione con i Kami shintoisti e rafforza ancor di più il legame con l’amata che aveva preparato la bevanda. Il Kuchikamizakè diventa metafora del vero amore: se amare significa condividere una parte di sé e accettare l’altro nella propria vita, allora il rituale shintoista eseguito dai due coincide con l’atto d’amore supremo in cui due singoli si uniscono riconoscendosi come anime gemelle.
By Valeria Turino