Una ragazza alla moda- Mademoiselle Anne è un manga shōjo scritto e disegnato da Waki Yamato, pubblicato tra il 1975 e il 1977. E’ ambientato nel settimo anno dell’era Taishō , precisamente nel 1920, e la protagonista è Benio Hanamura (Anne nella versione italiana), una ragazza di diciassette anni sicuramente diversa dalle altre ragazze dell’inizio del Novecento, sia in ambito sentimentale, che di realizzazione personale; incarna il desiderio di emancipazione femminile che inizia a sollevarsi in Giappone proprio in quegli anni. La mamma muore prematuramente e lei viene allevata dal padre, un maggiore dell’esercito imperiale, che le dà un’educazione non prettamente femminile: pratica il kendo, beve sakè, preferisce lo studio della letteratura all’economia domestica, indossa abiti con stile occidentale perché li ritiene più comodi e non si vuole adattare alle regole alle quali le ragazze dell’epoca devono sottostare, compreso il matrimonio combinato.
Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale alle donne in Giappone sono stati riconosciuti gli stessi diritti degli uomini e hanno ottenuto il diritto di voto, la scuola dell’obbligo fino ai 16 anni, pari opportunità di lavoro (dal 1986),il divorzio in egual misura, il possedimento di beni propri, la garanzia sul mantenimento della custodia dei figli, la possibilità di frequentare scuole di ogni ordine e grado; tuttavia le condizioni economiche per le donne rimangono squilibrate. Sebbene il loro status sia costantemente migliorato nei decenni successivi, le donne e le madri sposate sono viste come un ostacolo alla piena uguaglianza economica. La monarchia continua ad essere esclusivamente maschile e una principessa deve rinunciare al suo status reale quando sposa un cittadino comune . Questa condizione non è sempre stata così: in epoche antiche la donna ha ricoperto cariche importanti. Nell’VIII secolo, il Giappone aveva un’imperatrice e nel XII secolo, durante il periodo Heian, le donne in Giappone potevano ereditare la proprietà a proprio nome e gestirla da sole.
Dal tardo periodo Edo, la condizione della donna inizia a cambiare fino ad arrivare al periodo Meiji, quando il Codice Civile del 1898 nega alle donne i diritti legali e le soggioga alla volontà del padre o del marito. L’organizzazione familiare è patriarcale , disobbedendo al capofamiglia si veniva cacciati dalla casa paterna. Se nascevano solo figlie femmine il capofamiglia adottava un erede maschio. Le donne erano soggette a matrimoni combinati e avevano un ruolo di sottomissione :”le giovani donne si sottomettono ai loro padri; le donne sposate si sottomettono ai loro mariti e le donne anziane si sottomettono ai loro figli”. In questa epoca, la maternità diventa l’impegno principale delle donne, garantendone anche un’educazione mirata e nascono le prime scuole femminili (ryosaikenbo) dove si insegnano argomenti come: la cerimonia del tè, la disposizione dei fiori o come essere buone madri e buone mogli.
Nelle campagne c’era più uguaglianza tra moglie e marito, l’autorità in famiglia era divisa tra i due e la donna lavorava tanto quanto il marito, allo stesso tempo doveva mantenere la casa e dare alla luce tanti bambini (almeno cinque). A volte, nei periodi di carestia, le giovani ragazze venivano vendute ai bordelli, dove le prostitute erano considerate meno di esseri umani.
Dopo la seconda guerra mondiale l’idea del ruolo della donna in Giappone diventò più moderna e più simile all’Occidente, ma in realtà le donne giapponesi sono ancora lontane dal raggiungimento della parità con gli uomini: ancora oggi il compito della donna resta quello di provvedere alla casa, badare alla famiglia, fare ed educare i figli, essere rispettosa verso il marito e prendersi cura di lui che lavora fuori casa tutto il giorno, a 26 anni è considerata vecchia quindi ha l’obbligo di sposarsi presto, a volte ancora attraverso un matrimonio combinato, e rinunciare a velleità di carriera e indipendenza. Il lavoro femminile è visto come semplice supporto al lavoro maschile. La maggior parte delle donne che lavora viene inquadrata in un percorso lavorativo, denominato ippanshoku, ossia non lo fa in maniera continuativa, occupa ruoli che non richiedono competenze né tantomeno garantiscono avanzamenti di carriera o retributivi e difficilmente ricopre incarichi dirigenziali.
By Valeria Turino